A‑38

Cappello_AlpinoGuar­dai il nume­ret­to che ave­vo in mano: spor­tel­lo 15334 nume­ro 12.
Arri­va­re al Mini­ste­ro del­le Cer­ti­fi­ca­zio­ni all’alba non era ser­vi­to, davan­ti a me c’era un vec­chio col cap­pel­lo da alpi­no e una car­tel­li­na gon­fia fino a scop­pia­re di fogli, docu­men­ti, cer­ti­fi­ca­ti. Cur­vo sul basto­ne si sta­va avvi­ci­nan­do allo spor­tel­lo. Se non ave­va por­ta­to l’autocertificazione c’era il rischio che rima­nes­se allo spor­tel­lo per chis­sà quanto.
Osser­vai la car­tel­li­na che ave­va sot­to­brac­cio, allun­gai la mano e col dito spin­si appe­na al cen­tro dei fogli. Bastò. Si river­sa­ro­no fuo­ri svo­laz­zan­do davan­ti al vec­chio. Men­tre si chi­na­va svi­co­lai in avan­ti e mi piaz­zai allo spor­tel­lo. Sco­prii che ave­vo gua­da­gna­to ben poco tempo.
“Deve por­tar­mi il modu­lo A–38”
L’impiegato die­tro il vetro era tut­to som­ma­to gen­ti­le anche se irremovibile.
Ten­tai di spie­gar­mi “Ma per tele­fo­no mi ave­te det­to che basta­va un’autocertificazione”
“Evi­den­te­men­te le han­no dato un’informazione sba­glia­ta. Per richie­de­re l’autorizzazione K di livel­lo 3 è neces­sa­rio com­pi­la­re il modu­lo A–38 far­lo tim­bra­re qui e con­se­gnar­lo al set­ti­mo pia­no per la protocollazione”
Il vec­chio col cap­pel­lo da alpi­no con­ti­nua­va a bat­ter­mi sul­la spal­la “Scu­si, ma lei era die­tro di me” ma era faci­le igno­rar­lo davan­ti all’enormità del fat­to che l’autocertificazione che ave­vo non bastava.
“Capi­sco, mi sa dire dove pos­so pren­de­re l’A–38?”
“Por­ti­ne­ria” rispo­se e mise sul vetro un car­tel­lo con scrit­to Impie­ga­to in pausa
Mi vol­tai ver­so il vec­chio ghi­gnan­do “È tut­to suo”, mi rispo­se con un gru­gni­to quan­do vide il cartello.
Attra­ver­sai il lun­go cor­ri­do­io di mar­mi colo­ra­ti tra ali di per­so­ne che come me cer­ca­va­no di trat­ta­re con la buro­cra­zia bar­ri­ca­ta die­tro deci­ne di spor­tel­li di vetro.
Arri­vai davan­ti all’ascensore alle por­te del qua­le un car­tel­lo don­do­la­va come fos­se sta­to appe­na mes­so: FUORI SERVIZIO.
“Ma se ci sono appe­na sali­to?” doman­dai a me stes­so ad alta voce. Con­trol­lai l’ora. Le undi­ci e mez­za? Non ave­vo mol­to tem­po, l’autorizzazione mi ser­vi­va entro il gior­no dopo. Pre­si le sca­le che per­cor­re­va­no a spi­ra­le tut­ta l’altezza del Mini­ste­ro del­le Cer­ti­fi­ca­zio­ni. Un po’ pre­ten­zio­sa ave­vo sem­pre pen­sa­to di quell’elica di gra­di­ni di gra­ni­to ros­so lar­ga una doz­zi­na di metri. Era affol­la­ta come un casel­lo auto­stra­da­le in esta­te ma schi­van­do e spin­gen­do disce­si i quin­di­ci piani.
Arri­vai alla por­ti­ne­ria, ovve­ro l’intero pia­no ter­ra. Un uni­co loca­le con un sof­fit­to di die­ci metri dove un eser­ci­to di por­tie­ri e di com­mes­si smi­sta­va­no i visi­ta­to­ri. C’erano alme­no ven­ti mac­chi­net­te che distri­bui­va­no i nume­ri per le file e davan­ti ad ogni mac­chi­na una cop­pia di com­mes­si che a tur­no inter­ro­ga­va­no il mal­ca­pi­ta­to sul moti­vo del­la visi­ta e poi pre­me­va­no uno tra i cin­quan­ta o ses­san­ta pul­san­ti. La mac­chi­na spu­ta­va fuo­ri un bigliet­to con il nume­ro del­lo spor­tel­lo e il nume­ro del­la fila.
Mi avvi­ci­nai alla mac­chi­na più vici­na e salu­tai “Buon­gior­no” “Che deve fare?” mi dis­se il pri­mo commesso
“Dovrei riti­ra­re il modu­lo A–38”
“Per­ché?” si intro­mi­se il secon­do com­mes­so “Auto­riz­za­zio­ne K livel­lo 3”
“Allo­ra non le ser­ve il modu­lo A–38, basta una autocertificazione”
Scos­si la testa “La sua col­le­ga al quin­di­ce­si­mo pia­no la pen­sa diver­sa­men­te, mi ha assi­cu­ra­to che per avere…”
“Ah, allo­ra la deve richie­de­re l’autorizzazione. Per­ché non l’ha det­to subi­to ci sono anche altre per­so­ne in fila. Mica ci può far per­de­re tempo.”
Il secon­do com­mes­so spin­se un pul­san­te e mi con­se­gnò sde­gna­to un bigliet­to: spor­tel­lo 319b nume­ro 5578.
Guar­dai l’enorme tabel­lo­ne che pen­de­va dal sof­fit­to, nume­ri e spor­tel­li cam­bia­va­no ad una velo­ci­tà che li ren­de­va a mala­pe­na visi­bi­li. Riu­scii a leg­ge­re un 319 e un 5577 vici­ni. Cor­si ver­so lo spor­tel­lo quan­do cad­di rovi­no­sa­men­te. Con la coda dell’occhio vidi una pen­na nera sul­la destra e un atti­mo dopo, a metà di un pas­so, il pie­de di appog­gio mi fu tira­to indie­tro. Mi schian­tai sul mar­mo del pavi­men­to men­tre la fol­la mi sca­val­ca­va igno­ran­do­mi. Lo spor­tel­lo 319 era a pochi pas­si e tra me e quel­lo un vec­chio col cap­pel­lo da alpi­no e un basto­ne dal mani­co ricur­vo sta­va con­se­gnan­do il bigliet­to col numero.
Mi rial­zai e mi piaz­zai die­tro al vec­chio strin­gen­do i pugni. Lo spor­tel­lo si aprì, una mano paf­fu­ta e pal­li­da riti­rò il suo bigliet­to. Il vol­to enor­me dell’impiegata riem­pì lo spa­zio del­lo spor­tel­lo si tol­se dei pic­co­lis­si­mi occhia­li e dis­se al vec­chio “Que­sto è lo spor­tel­lo 319, lei deve anda­re al 319b” poi gli resti­tuì il bigliet­to dicen­do “Il pros­si­mo!”. Il vec­chio si allon­ta­nò con aria con­fu­sa. Guar­dai gli spor­tel­li intor­no 318, 319, 320 e così via.
Avan­zai por­gen­do il bigliet­to alla mano­na pal­li­da. Che nem­me­no lo pre­se “Que­sto è lo spor­tel­lo 319, lei deve anda­re al 319b”.
“Scu­si” azzar­dai inter­rom­pen­do la lima­tu­ra del­le unghie dall’impiegata fac­cio­na “mi sapreb­be dire dove tro­vo lo spor­tel­lo 319b”.
“Non sia­mo all’ufficio infor­ma­zio­ni, si rivol­ga ai com­mes­si” e rico­min­ciò la manicure.
I com­mes­si sono mol­to rigi­di sul­lo svol­gi­men­to del loro com­pi­ti, quel­li alle mac­chi­net­te non sareb­be­ro anda­ti oltre il dar­mi un nuo­vo bigliet­to. Ci misi alme­no cin­que minu­ti per tro­var­ne uno in gra­do di dar­mi una risposta.
“319b?” chie­se l’omino in divi­sa con le spal­li­ne dorate.
Gli mostrai il biglietto.
“Gli spor­tel­li di tipo b si tro­va­no nel sot­to­tet­to al tren­ta­cin­que­si­mo piano”
“Tren­ta­cin­que­si­mo?” chie­si conferma.
“Sì” rispo­se can­di­do “li han­no spo­sta­ti la set­ti­ma­na scorsa.
Comun­que vada tran­quil­lo non c’è mai mol­ta fila per i tipo b”. Arri­vai all’ascensore. Anco­ra fuo­ri ser­vi­zio. Ero ras­se­gna­to ai tren­ta­cin­que pia­ni di sca­le, tren­ta­quat­tro pia­ni pre­sti­gio­sa­men­te alti sei metri più uno da die­ci metri. Mi unii alla muta pro­ces­sio­ne di per­so­ne in sali­ta sul lato destro del­la sca­li­na­ta men­tre sul sini­stro una altret­tan­to muta pro­ces­sio­ne scendeva.
Al deci­mo pia­no la pro­ces­sio­ne si era ridot­ta del­la metà, solo i più alle­na­ti e gio­va­ni resi­ste­va­no. Mi era sem­bra­to di vede­re una pen­na nera sbu­ca­re a vol­te tra la fol­la, ma non ne ero sicu­ro. Per ora l’abitudine di anda­re al lavo­ro in bici mi man­te­ne­va in testa al grup­po. Al ven­te­si­mo pia­no solo un rivo­lo di per­so­ne ansi­man­ti con­ti­nua­va a sali­re, c’erano sta­ti anche due infar­ti tra il tre­di­ce­si­mo e il quin­di­ce­si­mo pia­no che ave­va­no per un atti­mo inta­sa­to i flus­si pri­ma che i com­mes­si li soc­cor­res­se­ro. O rimuo­ves­se­ro i cor­pi, non mi ero fer­ma­to a guar­da­re, non sono così mor­bo­so. Mi vol­tai per un atti­mo, lui era lì. Pas­so rego­la­re da mon­ta­na­ro, in coda al grup­po, sali­va tran­quil­lo e sen­za appa­ren­te sforzo.
Al ven­tot­te­si­mo pia­no era­va­mo rima­sti solo noi due. Il vec­chio col ber­ret­to da alpi­no, tene­va il pas­so sen­za un fia­to e io, ansi­man­do rumo­ro­sa­men­te non ci sta­vo facen­do una bel­la figu­ra. Il basto­ne nel­la mano e la car­tel­li­na ben chiu­sa nell’altra maci­na­va un gra­di­no dopo l’altro. Cer­cai di leg­ge­re i nume­ri sul bigliet­to, un nume­ro alla vol­ta ad ogni oscil­la­zio­ne del­la mano 3…1…9…b e poi 5573. Come dia­vo­lo ave­va fat­to ad ave­re un bigliet­to pri­ma di me?
Mi supe­rò, più velo­ce di me, avreb­be sbri­ga­to la pra­ti­ca pri­ma di me e sareb­be usci­to da lì pri­ma di me. Mi sen­ti­vo fru­stra­to e arrab­bia­to. Sen­tii un for­te ding pro­ve­ni­re da più in alto, l’ascensore era arri­va­to al pia­no! L’avevano aggiu­sta­to! Una sequen­za di azio­ni si deli­neò nel­la mia mente.
Scat­tai, l’avrei paga­ta cara il gior­no dopo in ter­mi­ni di aci­do lat­ti­co ma era fon­da­men­ta­le arri­va­re pri­ma dell’alpino all’ascensore. Riu­scii a supe­rar­lo e ad infi­lar­mi tra le por­te, con la mano sini­stra bloc­cai la cel­lu­la fotoe­let­tri­ca. Sfog­giai il mio miglio­re sor­ri­so paci­fi­ca­to­re e por­si la destra al tizio facen­do­gli segno di avan­za­re. Avan­zò len­ta­men­te, sospet­to­so. Pote­va esse­re resi­sten­te ma comun­que ave­va i rifles­si di un anzia­no. Appe­na si avvi­ci­nò gli strap­pai di mano il bigliet­to e il basto­ne, lo spin­si con for­za fuo­ri dall’ascensore e pre­met­ti il tasto dell’ultimo pia­no, il 34. Lui bar­col­lò qual­che metro e poi cad­de, lo vidi girar­si ver­so di me e men­tre le por­te si chiu­de­va­no sven­to­lai i bigliet­ti. Che tor­nas­se pure giù in por­ti­ne­ria a pren­der­ne un altro, se lo meri­ta­va per lo sgam­bet­to di prima.
I nume­ri sul display dell’ascensore scor­re­va­no 30, 31, 32, 33, 34. Quan­do l’ascensore si aprì inca­strai il basto­ne tra le por­te, giu­sto nel caso il vec­chio fos­se di nuo­vo in pie­di. Il bre­ve cor­ri­do­io ter­mi­na­va, dopo aver sali­to tre gra­di­ni in una por­ta alla qua­le era sta­to attac­ca­to un foglio di car­ta con scrit­to a pen­na­rel­lo “Spor­tel­li b da 1 a 544”.
Aprii la por­ta ed entrai. Dio se face­va cal­do. Come ave­va det­to l’omino in por­ti­ne­ria? Sot­to­tet­to? In effet­ti il sof­fit­to era incli­na­to e si vede­va­no le tra­vi di legno. Addi­rit­tu­ra qual­che lama di luce sola­re fil­tra­va tra i lastro­ni di arde­sia a vista.
“Desi­de­ra?” dis­se una signo­ra sedu­ta die­tro una scri­va­nia immen­sa, mi chie­si come ce l’avevano por­ta­ta las­sù? La scri­va­nia inten­do, era sicu­ra­men­te più gran­de del­la por­ta. Per non par­la­re degli sche­da­ri semia­per­ti tra­boc­can­ti di car­tel­li­ne di car­to­ne, fogli, cer­ti­fi­ca­ti. Il mobi­lio era deci­sa­men­te sovradimensionato.
La signo­ra inve­ce no, tan­to che sem­bra­va pic­co­la, qua­si una bam­bi­na sedu­ta sul­la sedia del padre, semi nasco­sta da por­ta­pen­ne, fal­do­ni, muc­chi di fogli e una mac­chi­na da scri­ve­re del seco­lo scorso.
“Desi­de­ra?” ripeté.
“Avrei biso­gno del modu­lo A–38”
“Per­ché non fa un’autocertificazione?” chie­se per­ples­sa. “Devo richie­de­re una auto­riz­za­zio­ne K di livel­lo 3” “Capi­sco, pur­trop­po sono in pau­sa. Deve tor­na­re più tar­di.” Guar­dai in dire­zio­ne del­la por­ta dal­la qua­le da un momen­to all’altro imma­gi­na­vo sareb­be entra­to un infu­ria­to ex alpi­no. “La pre­go, non mi ser­ve altro, me ne andrò subito.”
La signo­ra sbuf­fò ma dis­se “Va bene, ma non lo dica in giro però. Che figu­ra ci farei coi colleghi?”.
Pre­se il bigliet­to che le por­ge­vo e sen­za nean­che guar­dar­lo lo but­tò nel cesti­no di fian­co alla scri­va­nia. Aprì un cas­set­to, tirò fuo­ri un foglio ver­de pie­no di casel­le da riem­pi­re sul qua­le era fili­gra­na­ta la sigla A–38.
Era fat­ta! Ormai era fat­ta. Dove­vo solo com­pi­la­re il modu­lo, por­tar­lo al quin­di­ce­si­mo pia­no per il tim­bro e poi al set­ti­mo per il nume­ro di pro­to­col­lo. Con il nume­ro di pro­to­col­lo avrei potu­to final­men­te riti­ra­re l’autorizzazione K livel­lo tre e con quel­la sareb­be basta­to anda­re all’Ufficio Distac­ca­to Autocertificazione.
Entrai nell’ascensore, disin­ca­strai il basto­ne e spin­si il tasto del ven­ti­no­ve­si­mo pia­no. Vole­vo sven­to­la­re il modu­lo davan­ti al vec­chio se fos­se sta­to anco­ra lì. Le por­te si apri­ro­no, nel cor­ri­do­io c’era un cor­po coper­to da un telo bian­co. Mi avvi­ci­nai e sco­prii la testa. L’ormai fami­lia­re cap­pel­lo con la pen­na nera.
“Hai visto?” dis­si al cada­ve­re del vec­chio “Hai fat­to tut­to quel casi­no per una Auto­cer­ti­fi­ca­zio­ne di Esi­sten­za in Vita che in real­tà non ti serve?”
Il basto­ne me lo tenni.

2 Comments

  1. Deepa
    Settembre 17, 2013
    Reply

    Ado­ro que­sto rac­con­to. E’ geniale!!!

  2. gecolga
    Settembre 27, 2013
    Reply

    Fan­ta­sti­co! Ave­vo il fia­to­ne pure io.…

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