Gri­gio ufficio

Le pare­ti pan­na, il pavi­mento gri­gio a pan­nelli, le scri­va­nie in fin­to legno con vec­chi moni­tor CRT, le fine­stre bloc­cate con vista sul­la Lau­ren­tina, i vec­chi e i nuo­vi volan­tini del­la bache­ca sin­da­cale, la men­sa con le ver­dure riscal­date del gior­no pri­ma, il mitiz­zato pas­sato glo­rioso, l’ufficio acqui­sti, il bad­ge, il pro­xy azien­dale, le pro­ce­dure, le otto ore, i col­le­ghi di vent’anni più vec­chi, quel­li di vent’anni più gio­vani, quel­li che non vede­vi da vent’anni, il tizio che tele­fona urlan­do, il tizio che urla sen­za tele­fono, i bug, la nota spe­se, il car­tel­lino pre­senze, le ferie, i per­messi, l’attesa per entra­re, l’attesa per usci­re, le sedie tut­te rot­te, gli sguar­di vitrei post pran­diali, il neon rot­to che lampeggia.

Teme­vi che la vita d’ufficio sareb­be sta­ta un infer­no. Teme­vi la pri­ma vol­ta che hai aper­to i file del pro­gramma ma pen­sa­sti che non pote­va esse­re cosi male. Gior­no dopo gior­no, men­tre tut­to intor­no diven­tava grigio.

Il gri­gio sem­bra entrar­ti sot­to le pal­pe­bre men­tre il bru­sio costan­te ha il suo­no del­le voci nei vico­li di R’lyeh, grat­ta sui tim­pani. La schie­na si incur­va, il viso sbian­cato dal­la luce fred­da del moni­tor si fa sem­pre più vici­no men­tre scor­re l’ennesimo fram­mento di pro­gramma che pare scrit­to da un’orda di scim­mie cie­che sbat­tendo le teste sul­le tastie­re. La tor­tuo­sità di quel­lo che vedi scrit­to sareb­be suf­fi­ciente a far fug­gire Nyar­la­tho­tep ter­ro­riz­zato e per l’ennesima vol­ta sfal­ci le doz­zine di righe di istru­zioni con­torte in una sin­gola, con­cisa. Una scin­tilla dal­la por­ta usb bru­ciac­chia la scri­va­nia vici­nis­sima al mou­se, un ten­ta­colo di fumo sem­bra tasta­re intor­no alla bru­cia­tura e scom­pa­rire sot­to il por­ta­tile. Osser­vi per un atti­mo le deci­ne di pic­coli segni scu­ri sul­la scri­va­nia, impron­te di altret­tante scin­tille, una per ogni vol­ta che hai cor­retto quel codi­ce. Oltre mil­le­sei­cento file anco­ra da cor­reg­gere, deci­ne for­se cen­ti­naia di miglia­ia di righe di codi­ce. Il col­lega alla tua destra ha cedu­to due gior­ni fa. Lo sguar­do ha per­so espres­si­vita la pri­ma vol­ta che ha visto il codi­ce e l’altro ieri si e uni­to al bran­co di scim­mie cie­che. Il suo­no, inin­ter­rotto da due gior­ni, del­la sua testa che sbat­te sul­la tastie­ra del por­ta­tile e attu­tito dal­la musi­ca che ti spa­ri nel­le orec­chie. Ma l’intervallo, lo spa­zio vuo­to tra un bra­no e l’altro, l’attimo di silen­zio pri­ma che

Sbam! Sbam! Sbam!

Men­tre goc­cio­line di san­gue sal­tel­lano tra la sua testa e la tastie­ra. Allo­ra il bru­sio rico­min­cia a graf­fiarti i tim­pani e il gri­gio s’infila sot­to le palpebre.

Il col­lega alla tua destra da un’ultima testa­ta e si fer­ma esa­nime. Men­tre la musi­ca ripar­te un nuo­vo file com­pare nel­la tua lista, a quan­to pare il col­lega ha aggiun­to la sua par­te al mostro di codi­ce che dovrai cor­reg­gere. Sen­ti la testa pesan­te. Hai biso­gno di un caf­fe. Ti uni­sci alla pro­ces­sione del­le 16, tut­ti in fila attra­verso la pian­ta pen­ta­go­nale dell’edificio fino al distri­bui­tore auto­ma­tico. Rot­to. Era rot­to anche ieri. In effet­ti non l’hai mai visto fun­zio­nare. La pro­ces­sione ripar­te e ridi­stri­bui­sce gli impie­gati nel­le loro stanze.

Ti sie­di alla scri­va­nia e rico­minci a lavo­rare. La testa pesan­te. Hai un blac­kout per un atti­mo, un col­po di son­no. Al quin­to gior­no sen­za caf­fe, pen­si, è nor­male. Ti spor­gi sem­pre più avan­ti a leg­gere il codi­ce, quel­lo che ha scrit­to il tuo col­lega. Più con­torto del soli­to, le fun­zioni si intrec­ciano tra loro incom­pren­si­bil­mente. Le osser­vi richia­marsi tra loro e il modo in cui ognu­na acce­de ai dati dell’altra ha qual­cosa di disgu­stoso, qua­si osce­no. Que­sta vol­ta non rie­sci nem­meno a capi­re cosa dovreb­be fare que­sta par­te del pro­gramma. Sbam! Il col­po di son­no e sta­to tota­le, hai sbat­tuto la fac­cia sul­la tastie­ra. Ma non è sta­to male, anzi va bene cosi, ti sem­bra logi­co, il dolo­re deve aver­ti sneb­biato. Sen­ti il tuo viso rilas­sarsi. Ades­so e chia­ro. Il gri­gio sot­to le pal­pe­bre si espan­de, copre la vista. Tut­to quel­lo che vedi e il gri­gio. E il codi­ce che devi scrivere.

Sbat­ti la fac­cia sul­la tastiera.

Sbat­ti la fac­cia sul­la tastiera.

Sbat­ti la fac­cia sul­la tastiera.

Le pare­ti pan­na, il pavi­mento gri­gio a pan­nelli, le scri­va­nie in fin­to legno con vec­chi moni­tor CRT, le fine­stre bloc­cate con vista sul­la Lau­ren­tina e il rumo­re rit­mico di cen­ti­naia di teste che sbat­tono sul­le tastie­re tut­te insieme.

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