Il bat­te­ri­sta

La cosa che più gli dava la nau­sea era che al con­cer­to dei Rot­ting Skulls ce l’a­ve­va por­ta­ta lui. “Dai han­no fat­to anche da grup­po spal­la dei Metal­li­ca. Spac­ca­no.” le ave­va det­to. Fan­cu­lo. L’a­ve­va tro­va­ta al bagno del loca­le duran­te una pau­sa che lo suc­chia­va al batterista.
Il par­co, buio, sem­bra­va un buco nero sca­va­to tra i palaz­zi. Ver­so il cen­tro si vede­va­no gli inter­mit­ten­ti baglio­ri ros­si di siga­ret­te, o can­ne, che pas­sa­va­no di mano in mano e arri­va­va­no le note smor­za­te di qual­cu­no che suo­na­va. Aspet­tò che gli occhi si abi­tuas­se­ro e indi­vi­duò una panchina.
Scal­dò un po’ di fumo sul pal­mo del­la mano con l’ac­cen­di­no e lo sbri­cio­lò. Allun­gò la mano destra e si rese con­to che nes­su­no gli avreb­be pas­sa­to il tabac­co da mischia­re. Sara lo face­va sem­pre. Non c’e­ra biso­gno di chie­de­re o met­ter­si d’ac­cor­do. Era scon­ta­to, lui rol­la­va e lei gli pas­sa­va tut­to. Tabac­co, fil­tro e car­ti­na. Una cosa pic­co­la, ma era­no le cose pic­co­le, le tan­tis­si­me cose pic­co­le che Sara face­va che gli ave­va­no riem­pi­to la vita.
Fos­se sta­to il can­tan­te alme­no. Inve­ce era il bat­te­ri­sta quel coso bas­so e tut­to stor­to. Gira­va voce che la vera men­te del grup­po fos­se lui ma non pen­sa­va che nei pochi minu­ti tra quan­do la fol­la li ave­va sepa­ra­ti e quan­do l’a­ve­va tro­va­ta in ginoc­chio al bagno degli uomi­ni potes­se­ro aver par­la­to molto.
Riu­scì con una sola mano a strap­pa­re un bigliet­to del­l’au­to­bus e far­ne un fil­tro. Il cal­do, il buio e le tre bir­re che si era sco­la­to una die­tro l’al­tra lo ave­va­no reso gof­fo; quel­lo che si ritro­vò in mano era un pic­co­lo sal­sic­ciot­to di car­ta e tabac­co. L’ac­ce­se e aspi­rò la pri­ma boc­ca­ta. La musi­ca che sen­ti­va veni­re dal cen­tro del par­co era cam­bia­ta, ades­so sem­bra­va roba suda­me­ri­ca­na. Si sdraiò sul­la pan­chi­na con lo zai­no come cusci­no. Il fumo dise­gna­va del­le lame azzur­ri­ne quan­do incro­cia­va la luce luna­re che fil­tra­va tra gli alberi.
Gli era pas­sa­ta la voglia di sta­re da solo. Ten­tò di avan­za­re ver­so il falò al cen­tro del par­co. Un cram­po di fame tos­si­ca gli arti­gliò lo sto­ma­co. Le gam­be cedet­te­ro e finì a ter­ra. Non pro­vò nem­me­no a met­ter­si in pie­di e con­ti­nuò a quat­tro zam­pe per una ven­ti­na di metri. Il par­co sem­bra­va anco­ra più gran­de col buio. Buio come il cor­ri­do­io fuo­ri dal ces­so del loca­le ma alme­no li pote­va vede­re una stri­scia di luce sot­to la por­ta. Chi se lo imma­gi­na­va che il nano fos­se una spe­cie di nin­ja. Ave­va tira­to via Sara e ave­va pro­va­to a mol­la­re un cal­cio allo stron­zo. Stron­zo super­do­ta­to, gli arri­va­va qua­si a ter­ra. Ricor­da­va di aver esi­ta­to, chiun­que l’a­vreb­be fat­to, face­va pau­ra. Il nano ne ave­va appro­fit­ta­to e in un secon­do lui si era ritro­va­to dolo­ran­te fuo­ri dal bagno. Era sta­to il bat­te­ri­sta anco­ra sen­za pan­ta­lo­ni a chiu­de­re la por­ta spin­gen­do­la con la sua sot­ti­le coda carnosa.
Coda? Qua­le coda? Aspi­rò un’al­tra boc­ca­ta. Non riu­sci­va a capi­re se l’a­ves­se imma­gi­na­ta ades­so o se fos­se un ricor­do rea­le. Però ci sta­va bene su quel mostri­ciat­to­lo. Schi­fo­so nano bastar­do. E bastar­da anche Sara. Non l’a­ve­va nean­che guar­da­to, sem­bra­va fis­sa­re qual­co­sa per ter­ra. Lui era rima­sto anco­ra nel loca­le per cer­ca­re di ubria­car­si, poi se n’e­ra­no anda­ti tut­ti ver­so le mac­chi­ne e lui ave­va pre­so la stra­di­na ver­so il parco.
Vede­va le sago­me del­le per­so­ne dan­za­re intor­no al fuo­co. Il rumo­re dei bon­ghi arri­va­va for­te insie­me alle paro­le incom­pren­si­bi­li del­la can­zo­ne. Por­to­ghe­se? Cine­se? Comun­que era così fat­to e ubria­co che sareb­be potu­to esse­re anche qual­co­sa di Vasco, non l’a­vreb­be capi­ta lo stes­so. Avan­za­va car­po­ni ver­so la luce fino a quan­do col­pì di testa un’al­tra pan­chi­na. Gli ser­vi­va una luce, alme­no per evi­ta­re altre cra­nia­te. Il tele­fo­ni­no pote­va anda­re, se aves­se tenu­to acce­so il flash gli avreb­be fat­to da tor­cia. Era nel­lo zai­no. Caz­zo, e lo zai­no? Era sicu­ro di aver­lo quan­do era arri­va­to. Dove­va aver­lo lascia­to sul­l’al­tra panchina.
Guar­dò indie­tro. Trop­po buio. Oltre­tut­to si dove­va anche esse­re ran­nu­vo­la­to, non c’e­ra­no più nem­me­no i rag­gi luna­ri che fil­tra­va­no dagli albe­ri. Se qual­cu­no al falò aves­se avu­to una tor­cia avreb­be potu­to aiu­tar­lo a recu­pe­ra­re lo zai­no. Si rial­zò in pie­di. La testa non gira­va qua­si più e riu­sci­va a cam­mi­na­re. For­se era sta­to il dolo­re del­la testa­ta, for­se il cal­do gli ave­va fat­to suda­re via l’al­col o for­se era solo un’il­lu­sio­ne del fumo ma si sen­ti­va più luci­do. E quin­di di pes­si­mo umo­re. Sara era ormai un vuo­to fisco, un buco nel­le visce­re che non si riem­pi­va più. Si fru­gò in tasca. Stac­cò un paio di pastic­che di Maa­lox dal­la con­fe­zio­ne e se le fic­cò in boc­ca. Intor­no era sem­pre buio pesto ma ades­so era abba­stan­za vici­no per­ché il fuo­co gli per­met­tes­se di distin­gue­re albe­ri, pan­chi­ne e muret­ti lun­go il per­cor­so. Con­trol­lò anche la dire­zio­ne dal­la qua­le era venu­to, nien­te da fare, la pan­chi­na con lo zai­no era per­sa nel nero.
Avvi­ci­nan­do­si si rese con­to del­le dimen­sio­ni del fuo­co, non era un sem­pli­ce falò. Era enor­me, una spe­cie di rogo, uno di quel­li che si vedo­no nel­le sagre di pae­se. La can­zo­ne poi non la capi­va pro­prio, sembrava…boh. Sem­bra­va qual­co­sa di fami­lia­re, qual­co­sa che ave­va sen­ti­to. Appe­na pri­ma di entra­re nel cer­chio di luce si fer­mò nel­l’om­bra di un albe­ro, spor­se un po’ la testa. Chiun­que stes­se suo­nan­do i bon­ghi dove­va esse­re die­tro l’al­be­ro, il suo­no veni­va pro­prio da lì.
Un’om­bra pas­sò davan­ti al fuo­co, una sago­ma che sem­bra­va dan­za­re den­tro il falò. Fece due pas­si avan­ti, qual­co­sa si mos­se vici­no ai suoi pie­di, lui inciam­pò e cad­de in avan­ti. L’im­pat­to sol­le­vò una pic­co­la nuvo­la gri­gia. Gli occhi gli bru­cia­va­no e si ritro­vò car­po­ni a pian­ge­re e a tos­si­re via gru­mi gri­gia­stri di cenere.
Il suo­no dei bon­ghi ces­sò e sem­brò qua­si che la luce del fuo­co si affie­vo­lis­se un poco. Qual­cu­no gli pog­giò una mano sul­la spal­la e davan­ti a lui si fece viva una mano che reg­ge­va una bor­rac­cia da cam­peg­gio. Rin­gra­ziò e ingoiò alme­no due vol­te pri­ma che il bru­cio­re alla gola peg­gio­ras­se. Non era acqua! Ani­ce. Sem­bra­va ouzo, di sicu­ro era mol­to alco­li­co. Si mise sedu­to e ten­tò di capi­re chi ave­va intor­no. Sen­ti­va mol­te voci ma la vista era anco­ra appan­na­ta dal­le lacri­me. Alme­no una doz­zi­na di per­so­ne, nude, gli sta­va­no intor­no. Suda­ti e arros­sa­ti dal fuo­co e da altro, lo sta­to di ecci­ta­zio­ne dei maschi era evi­den­te. Anche quel­lo di alcu­ne ragaz­ze in effet­ti. Caz­zo, pen­sò, ho inter­rot­to un’orgia?
Ades­so vede­va anche chi gli ave­va pas­sa­to la bor­rac­cia. Sara. Nuda, suda­ta e con quel­le fos­set­te sul­le guan­ce che le veni­va­no quan­do face­va­no l’a­mo­re. Lei gli sor­ri­se, gli lasciò la bor­rac­cia e sen­za dire nul­la si unì agli altri che ave­va­no rico­min­cia­to a bal­la­re intor­no al fuo­co. Il bon­go rico­min­ciò il suo rit­mo die­tro di lui. Non vole­va guar­da­re die­tro, teme­va che se si fos­se gira­to i dan­za­to­ri nudi sareb­be­ro scom­par­si. Per quan­to inquie­tan­te fos­se quel­la situa­zio­ne Sara era lì, la rivo­le­va. A dispet­to di quel­lo che era suc­ces­so rivo­le­va la vita di pri­ma, pie­na di lei. Le avreb­be det­to che quel­lo che era suc­ces­so non ave­va impor­tan­za, che pote­va­no supe­ra­re qua­lun­que cosa. Che…che…le avreb­be det­to qua­lun­que cosa.
Il suo­no del bon­go die­tro di lui lo sot­tras­se al sogno che si sta­va for­man­do vivi­do sul­lo sfon­do del­le fiam­me. “Ehi stron­zet­to. E’ la secon­da vol­ta che mi interrompi.”
Si vol­tò di scat­to. Il bat­te­ri­sta. Quel nano defor­me era nudo in pie­di e sta­va suo­nan­do il bon­go. Un rigur­gi­to aci­do gli infiam­mò la gola. La sua pel­le era arros­sa­ta. Anzi no, era pro­prio ros­sa. E ave­va vera­men­te una caz­zo di coda.

Que­sto rac­con­to è sta­to pre­sen­ta­to nel 2012 all’e­di­tor Gio­van­na Ben­ti­vo­glio nel­l’am­bi­to del secon­do livel­lo del cor­so di scrit­tu­ra crea­ti­va. Le è pia­ciu­to mol­to. Il rac­con­to  è sta­to anche pub­bli­ca­to sul­la rivi­sta “O” del­la scuo­la Omero.
Il bat­te­ri­sta

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