Lo sci­vo­lo grande

L’erba del par­co è umi­da sot­to i pie­di di Mar­co. Papà gli ave­va det­to di tene­re le scar­pe ma la ter­ra mor­bi­da e leg­ger­men­te umi­da del­la sera è un pia­ce­re trop­po poten­te e papà ades­so non c’è, trop­po occu­pa­to a par­la­re con la foto di mam­ma. Anche lui ci par­la. A vol­te, quan­do papà beve trop­po e si addor­men­ta sul divano.
Que­sta sera però lui siste­me­rà le cose, farà tor­na­re la mam­ma. Lei non se ne è anda­ta, in real­tà è li vici­no. E’ pri­gio­nie­ra del dra­go e la tana del dra­go è lì nel par­co, in cima allo sci­vo­lo grande.
È venu­to per quel­lo, per libe­ra­re la mam­ma e far­la tor­na­re a casa. Strin­gen­do la pic­co­la maz­za da base­ball di allu­mi­nio, un rega­lo che lei gli ave­va fat­to pochi mesi pri­ma, guar­da il par­co silen­zio­so. La luce del­la luna deli­nea il per­cor­so che avreb­be dovu­to segui­re: gli ani­ma­li a don­do­lo dei pic­co­li, loro era­no i pri­mi mostri guar­dia­ni; poi la rete da arram­pi­ca­ta, di sicu­ro la tana del ragno invi­si­bi­le e infi­ne lo sci­vo­lo gran­de. Per tut­ti i bam­bi­ni del quar­tie­re quel­lo era solo lo sci­vo­lo gran­de, era alto alme­no come due adul­ti ed ave­va una spe­cie di cabi­na in cima. Mar­co non ci era mai sali­to, duran­te il gior­no era mono­po­liz­za­to dai bam­bi­ni più gran­di che tene­va­no i pic­co­li lon­ta­ni con minac­ce e sassi.
Per Mar­co quel­li sono in real­tà dei troll e fan­no la guar­dia alla tana del dra­go duran­te il gior­no, ma la not­te spa­ri­sco­no e quel­la è la sua occasione.
Strin­ge for­te la maz­za e si avvi­ci­na ai gio­chi a don­do­lo, ai tre ani­ma­li di legno che cigo­la­no su gros­se mol­le. Un maia­le, un caval­lo e qualcos’altro che la per­di­ta di ver­ni­ce ha reso irri­co­no­sci­bi­le bril­la­no di umi­di­tà sot­to la luce del­la luna.
Attac­ca il pri­mo ani­ma­le, il caval­lo. Con la maz­za col­pi­sce stan­do bene atten­to a rima­ne­re davan­ti. Giu­sto nel caso si trat­tas­se di un caval­lo mostro mutan­te che spa­ra acu­lei dal­la coda. Col­pi­sce. Col­pi­sce così for­te che le brac­cia gli fan­no male. Deve ucci­de­re alme­no uno dei mostri pri­ma di pro­se­gui­re per la rete. E’ così che fun­zio­na anche nel video­gio­co, devi scon­fig­ge­re alme­no un mostro per avanzare.
Il caval­lo di legno don­do­la e cigo­la, sem­bra qua­si geme­re. Mar­co pen­sa che for­se avreb­be dovu­to sce­glie­re il maia­le, que­sto non dava segni di cedi­men­to. Se non scon­fig­ge il suo avver­sa­rio non potrà avan­za­re. Con un urlo “MAMMA!!!” met­te tut­ta la for­za che gli rima­ne e col­pi­sce anco­ra. Il legno si spac­ca, la maz­za da base­ball gli sfug­ge, scheg­ge vola­no tut­to intor­no e la mol­la anco­ra­ta a ter­ra vibra sen­za più il cor­po del caval­lo da sor­reg­ge­re. Mar­co sen­te un dolo­re for­te sul­la guan­cia, appe­na sot­to l’occhio sini­stro. Il caval­lo mostro mutan­te ha lan­cia­to un acu­leo, pen­sa. Con la mano tasta, si sfi­la dal­la guan­cia una gros­sa scheg­gia. Fa malis­si­mo e quan­do una lacri­ma sfug­ge ver­so il bas­so pas­san­do pre­ci­sa­men­te sul­la feri­ta il dolo­re diven­ta insopportabile.
Mar­co pian­ge. Per il dolo­re e la rab­bia. Ripren­de la maz­za e schian­ta quel che rima­ne del cor­po del caval­lo di legno, que­sta vol­ta giran­do­si da una par­te per evi­ta­re le schegge.
Si fer­ma un atti­mo davan­ti alla rete da arram­pi­ca­ta. Dovrà sca­lar­la len­ta­men­te se non vuo­le allar­ma­re il ragno gigan­te invi­si­bi­le. Comin­cia a sali­re tenen­do la maz­za con la sini­stra e usan­do solo la destra come appi­glio. Quel­la rete la cono­sce bene, era la mam­ma a soste­ner­lo ed a inco­rag­giar­lo quan­do più pic­co­lo impa­ra­va ad arram­pi­car­si. Gli sem­bra qua­si di sen­ti­re le sue mani che gli sosten­go­no i fian­chi. Arri­va in cima, sca­val­ca e sal­ta giù. Il ragno non si è fat­to vivo. Ci è riu­sci­to. Si vol­ta a guar­dar­la, la rete di cor­da nell’umidità sera­le sem­bra dav­ve­ro una tela di ragno gigante.
La stra­da ver­so lo sci­vo­lo gran­de è sgom­bra. Tro­neg­gia altis­si­mo al cen­tro del par­co. Nel­la luce luna­re pro­iet­ta un’ombra che arri­va fino ai pie­di di Marco.
Quan­do ci arri­va davan­ti guar­da ver­so l’alto, alla lun­ga sca­la a pio­li che por­ta in cima allo sci­vo­lo, alla cabi­na, alla tana dove il dra­go tie­ne pri­gio­nie­ra mamma.
Mar­co fis­sa la cima del­la sca­la, è dav­ve­ro in alto, mol­to in alto e sa che non ce la farà a sali­re con una mano sola. Lascia la maz­za da base­ball a ter­ra. Non gli ser­vi­rà com­bat­te­re il dra­go, deci­de che baste­rà pren­de­re mam­ma per mano e fug­gi­re insie­me. La ripor­te­rà a casa da lui e papà.
Sale un gra­di­no dopo l’altro sui pio­li metal­li­ci umi­di. Per lui quel­la non è una sca­la, è la pare­te del­la tor­re del dra­go, la pare­te da sca­la­re per rag­giun­ge­re la mam­ma. Arri­va in cima e si affac­cia alla cabi­na. Vuota.
Chia­ma “Mam­ma?” pri­ma pia­no, poi sem­pre più for­te ma non c’è nes­su­na tor­re, nes­sun dra­go a tene­re pri­gio­nie­ra la mamma.
“Mam­ma è anda­ta via” pian­ge Mar­co ripe­ten­do le paro­le che papà gli ha det­to un mese pri­ma “Mam­ma è anda­ta via”
Poi Mar­co si stro­fi­na gli occhi e sci­vo­la all’indietro. Le sue gam­be inca­stra­te tra i pio­li si pie­ga­no mala­men­te, una si spez­za facen­do un rumo­re come di uno spa­ro. Lui sbat­te la testa con­tro la sca­la di metal­lo. Appe­so a testa in giù, appe­na pri­ma di chiu­de­re gli occhi pen­sa che in un modo o nell’altro rive­drà mamma.

2 Comments

  1. Settembre 13, 2013
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    Sei diven­ta­to pro­prio bra­vo. Mi sono com­mos­so e non cre­do per rim­bam­bi­men­to seni­le. Ti voglio bene.Piergiorgio

  2. gecolga
    Settembre 27, 2013
    Reply

    Ho la pel­le d’oca.

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