Ottan­ta­quat­tre­si­mo piano

Clau­dio salu­tò il diret­to­re del per­so­na­le con mal­ce­la­ta delu­sio­ne. Il col­lo­quio era anda­to mol­to male. L’annuncio era per un ammi­ni­stra­to­re di siste­ma con anni di espe­rien­za, men­tre in real­tà quel­lo che cer­ca­va­no era qual­cu­no per cam­bia­re le car­tuc­ce alle stam­pan­ti e aiu­ta­re degli inca­pa­ci che usa­va­no il let­to­re cd come por­ta­taz­za. Oltre­tut­to con un con­trat­to a pro­get­to di tre mesi.

«Mi dispia­ce signor Fabret­ti, ma lei è dav­ve­ro trop­po qua­li­fi­ca­to per noi e que­sta è l’unica offer­ta che pos­sia­mo far­le.» gli ave­va det­to l’esaminatore.

Clau­dio ci ave­va pen­sa­to alcu­ni secon­di pri­ma di rispon­de­re «Ma scu­si non lo ave­va­te dedot­to dal cur­ri­cu­lum? Per­ché ave­te comun­que volu­to il col­lo­quio?» que­sto lavo­ro non l’avrebbe accet­ta­to, era da dispe­ra­ti «Abbia­mo per­so entram­bi ore pre­zio­se non crede?»

Il diret­to­re non per­se il sor­ri­so nem­me­no per una fra­zio­ne di secon­do «Capi­sco la sua irri­ta­zio­ne ma spes­so i cur­ri­cu­lum sono un po’ arric­chi­ti. Evi­den­te­men­te non è il suo caso.»

Ricac­cio in gola la rispo­stac­cia e optò per un’uscita di sce­na meno vol­ga­re «Arri­ve­der­ci.» Si alzò, rac­col­se il cap­pot­to sen­za indos­sar­lo e uscì.

Fu solo dopo aver pre­mu­to il pul­san­te di chia­ma­ta dell’ascensore una doz­zi­na di vol­te che si rese con­to del car­tel­lo appe­so Cau­sa gua­sto l’ascensore non fer­ma a que­sto pia­no. Si pre­ga di usa­re le sca­le e recar­si al pia­no infe­rio­re o supe­rio­re.

Sbuf­fan­do si dires­se alla ram­pa del­le sca­le. Spin­se il mani­glio­ne anti­pa­ni­co e rima­se sull’uscio. Il con­tra­sto lo sor­pre­se, gli uffi­ci era­no se non lus­suo­si alme­no puli­ti e mol­to cura­ti. La trom­ba del­le sca­le inve­ce sem­bra­va usci­ta da una fab­bri­ca abban­do­na­ta. La ver­ni­ce scro­sta­ta sui muri mac­chia­ti di umi­di­tà face­va cop­pia con la pavi­men­ta­zio­ne gom­ma­ta gon­fia e strappata.

Sce­se un pia­no, mise la mano sul­la mani­glia ma non aprì la por­ta. Sen­ti­va lo squal­lo­re del­le sca­le più adat­to al suo umo­re. Sono ottan­ta­quat­tro pia­ni, me ne fac­cio un po’ a pie­di maga­ri mi cal­mo un po’ pensò.

Si affac­ciò. La spi­ra­le qua­dra­ta del­la ram­pa di sca­le gli die­de un sen­so di ver­ti­gi­ne. Non distin­gue­va il pia­no ter­ra, trop­po lon­ta­no, e qual­che luce era anche rot­ta una deci­na di pia­ni più in basso.

Clau­dio mise le cuf­fiet­te e fece par­ti­re il pod­ca­st di una tra­smis­sio­ne comi­ca. Comin­ciò a scen­de­re. Un pia­no dopo l’altro le bat­tu­te dei con­dut­to­ri risol­le­va­ro­no. Dopo qual­che ram­pa tro­vò deci­se che non era anda­ta trop­po male, in fon­do ave­va anco­ra metà del­la mat­ti­na libe­ra ed il cen­tro com­mer­cia­le era a due pas­si. Maga­ri era la vol­ta buo­na per com­pra­re un paio di cuf­fie decenti.

I due pia­ni sot­to di lui era­no qua­si al buio, era il caso pren­de­re l’ascensore. Avro fat­to alme­no die­ci pia­ni? Si chie­se, non li ave­va con­ta­ti ma pen­sa­va di sì.

Mise la mano sul­la mani­glia e spin­se ver­so il bas­so. Bloc­ca­ta. Pro­vò a tira­re e a spin­ge­re. Nien­te. For­se era un pia­no riser­va­to o qual­co­sa del gene­re. Mi toc­ca risa­li­re, pro­vò un’ultima vol­ta con più for­za e con un schioc­co la mani­glia nera si spez­zò e gli rima­se in mano.

Caz­zo! L’ho rot­ta. Era meglio levar­si di lì e sen­za pen­sar­ci comin­ciò a scendere.

A metà del pia­no ral­len­tò. C’era dav­ve­ro trop­pa poca luce, meglio guar­da­re dove met­te­re i pie­di. Nel­la penom­bra riu­sci­va a vede­re pen­zo­la­re il neon rot­to. Manu­ten­zio­ne nien­te vero?

A que­sto pia­no man­ca­va la por­ta anche se una sago­ma appe­na per­ce­pi­bi­le deno­ta­va il fat­to che fos­se sta­ta mura­ta. Sta­va anco­ra guar­dan­do indie­tro quan­do mise il pie­de su qual­co­sa di visci­do. I gra­di­ni era­no rico­per­ti di mel­ma e Clau­dio sci­vo­lò per l’intera ram­pa fino al pia­no di sot­to. Si sen­ti­va dolo­ran­te ma era riu­sci­to a non cade­re trop­po male. Sicu­ro avreb­be avu­to qual­che livi­do ma il cap­pot­to si era com­ple­ta­men­te inzup­pa­to e spor­ca­to di mel­ma. Anche que­sto pia­no era qua­si buio e sen­za por­ta. Con mol­ta cau­te­la per­cor­se i gra­di­ni fino alla luce del pia­no inferiore.

Osser­vo meglio il cap­pot­to «Por­ca tro­ia era nuo­vo!» dis­se osser­van­do le chiaz­ze di mel­ma gial­la­stra che cola­va­no da esso. Alme­no non puz­za. For­se è solo il muschio di un tubo che per­de. Cer­to che in quel palaz­zo non ci avreb­be più rimes­so piede.

Quan­do sco­prì che anche la por­ta di quel pia­no era bloc­ca­ta si infu­riò e comin­ciò a bat­te­re i pugni nel ten­ta­ti­vo di far­si sen­ti­re «Ehi!! Apri­te! Sono bloc­ca­to nel­le sca­le!» atte­se. Nes­su­na rispo­sta. Di nuo­vo «C’è nes­su­no! Apri­te que­sta caz­zo di porta!»

Da oltre la por­ta sen­tì arri­va­re lo squil­lo di un tele­fo­no. Il tele­fo­no! Cer­to, avreb­be dovu­to chia­ma­re qual­cu­no per soc­cor­rer­lo. Tirò fuo­ri il cel­lu­la­re dal­la tasca e osser­vò sgo­men­to la cre­pa che ne attra­ver­sa­va lo scher­mo. Dove­va esser­si rot­to nel­la caduta.

I rispar­mi di mesi distrut­ti dal­la scar­sa manu­ten­zio­ne di una sca­la antin­cen­dio. Qual­cu­no avreb­be paga­to. Gli avreb­be fat­to cau­sa. O sì e gli avreb­be tol­to anche un bel po’ di soldi.

Si  mise a scen­de­re velo­ce­men­te le sca­le deci­so ad arri­va­re al pia­no ter­ra per fare una piaz­za­ta. I pia­ni si sus­se­gui­va­no tut­ti simi­li nel­le loro pare­ti ammuf­fi­te. Con­ti­nuò a scen­de­re fino a quan­do non sen­tì una fit­ta di stan­chez­za alle gam­be. Quan­to manca?

Si affac­ciò. Non riu­sci­va a vede­re il fon­do del­la trom­ba del­le sca­le. Pos­si­bi­le? Eppu­re gli sem­bra­va di esse­re sce­so parec­chio. Pro­vò anche la por­ta ma come si aspet­ta­va era bloc­ca­ta. Appog­giò l’orecchio alla por­ta. Fle­bi­li rumo­ri di tele­fo­ni e di gen­te che par­la. Pre­se la por­ta a cal­ci fino a far­si male ma nes­su­no ven­ne ad apri­re. Si affac­ciò e un urlò «Vaf­fan­cu­lo!».

Dal pia­no di sot­to giun­se una voce som­mes­sa «Zit­to imbe­cil­le. Ti farai sentire»

Clau­dio per­cor­se i gra­di­ni di cor­sa «Sal­ve, sono rima­sto bloc­ca­to può tene­re la por­ta aper­ta per favo­re» fino ad arre­star­si, un po’ scon­cer­ta­to, davan­ti al muc­chio di buste di pla­sti­ca che face­va­no da let­to per un bar­bo­ne addor­men­ta­to. Si guar­dò intor­no in cer­ca di chi aves­se par­la­to ma a par­te il bar­bo­ne non c’era nes­su­no. Igno­ran­do l’odore aggi­rò le buste, si avvi­ci­nò alla por­ta e pro­vò la mani­glia. La por­ta non era chiu­sa. Un fru­scio pro­ve­nien­te da die­tro lo indus­se a girar­si. Il bar­bo­ne era sve­glio e lo fis­sa­va «Non par­la­re» sus­sur­rò il tizio «pren­di quel­lo che vuoi e vat­te­ne. Indi­cò la por­ta e Clau­dio la aprì.

Die­tro si tro­va­va un pic­co­lo loca­le con due distri­bu­to­ri auto­ma­ti­ci e un’altra por­ta. Velo­ce­men­te pro­vò la secon­da por­ta ma era chiu­sa quin­di si avvi­ci­nò ai distri­bu­to­ri avver­ten­do lo sguar­do fis­so del bar­bo­ne die­tro la nuca. I vetri era­no sfon­da­ti e sva­ria­te file di snack era­no man­can­ti. Il tizio del­le buste non dove­va esse­re pro­prio a posto col cer­vel­lo e se non aves­se pre­so nien­te era sicu­ro avreb­be rea­gi­to male, così pre­le­vò una bot­ti­gliet­ta d’acqua e un pac­chet­to di gom­me. Si voltò.

«Pren­di solo quel­lo? Meglio.» ed estras­se un col­tel­lo «Ades­so comin­cia a scen­de­re e vat­te­ne in silen­zio.» La voce era un sus­sur­ro appe­na udi­bi­le ma il tono cari­co di minac­cia era chiarissimo.

Il cuo­re di Clau­dio pre­se a bat­te­re sem­pre più velo­ce e si dires­se ver­so la sca­la con­ti­nuan­do a tener d’occhio il bar­bo­ne Ma che gior­na­ta di mer­da. Pure il mat­to asser­ra­glia­to nel­la trom­ba del­le sca­le mi dove­va capi­ta­re, si rilas­sò un poco quan­do vide che il bar­bo­ne non lo seguiva.

Dopo una deci­na di gra­di­ni riten­ne di esse­re abba­stan­za distan­te e, a voce bas­sis­si­ma, chie­se al bar­bo­ne «A che pia­no siamo?»

Que­sto fece spal­luc­ce «E che ne so. Ades­so vattene.»

«Ma io sto cerc…» fu inter­rot­to e que­sta vol­ta non a voce bassa

«Allo­ra! Sei sor­do o solo stu­pi­do?» gli urlò agi­tan­do il col­tel­lo nel­la sua dire­zio­ne «Vat­te­ne ades­so!» poi si avvi­ci­nò velo­ce­men­te alla balau­stra e guar­dò in alto e in bas­so nel­la trom­ba del­le scale.

Era trop­po, un mat­to accam­pa­to nel­la trom­ba del­le sca­le antin­cen­dio, altro buon moti­vo per rifiu­ta­re il lavo­ro. Sce­se i gra­di­ni di cor­sa. Dopo un paio di pia­ni il mat­to comin­ciò ad urla­re «Tu, stron­zo! E’ inu­ti­le che scappi.»

Mer­da! S’è incaz­za­to. Clau­dio acce­le­rò, sal­tan­do i gra­di­ni per allon­ta­nar­si il più pos­si­bi­le. Ave­va ben chia­ra l’immagine del col­tel­lo seghet­ta­to in mano al barbone.

Le pare­ti uni­for­me­men­te luri­de di umi­di­tà e alghe era­no tut­te simi­li e per­se subi­to il con­to di quan­ti pia­ni fos­se ormai sceso.

Comin­ciò a sen­ti­re i cram­pi alla gam­be ma ral­len­tò solo per­ché l’ambiente si era fat­to anco­ra più umi­do. I gra­di­ni era­no coper­ti in buo­na par­te di una mel­ma ver­da­stra e sci­vo­lo­sa. Sen­ti­va un bri­vi­do ogni vol­ta che veni­va rag­giun­to dal­le urla scon­nes­se del bar­bo­ne. Per for­tu­na sem­bra­va che non lo seguis­se, for­se non vole­va allon­ta­nar­si dai distri­bu­to­ri automatici.

Tenen­do sal­da­men­te il cor­ri­ma­no con­ti­nuò la sua disce­sa. L’aria era sem­pre più cal­da e umi­da e la muf­fa copri­va del tut­to il colo­re ori­gi­na­le del­le pare­ti. Gli stes­si neon ne era­no coper­ti e ema­na­va­no una luce ten­den­te al gial­lo. Clau­dio si affac­ciò di nuo­vo. Buio.

Non ci pote­va cre­de­re. Alme­no quat­tro fot­tu­ti pia­ni al buio. Ma for­se il chia­ro­re più in bas­so era il pian­ter­re­no. Meglio sbrigarsi.

Non fu trop­po dif­fi­ci­le all’inizio. Un gra­di­no alla vol­ta. Len­ta­men­te si immer­se nel buio. Qual­co­sa di pic­co­lo gli pas­sò sui pie­di e lui per­se il con­tat­to col cor­ri­ma­no. Si bloc­cò nel buio a fis­sa­re due pic­co­li occhi di rubi­no che lo fis­sa­va­no dal basso.

Ci man­ca­va­no i rat­ti. Ma che mer­da di posto! pen­sò incre­du­lo. Tro­vò a ten­to­ni il cor­ri­ma­no e riu­scì ad aggi­ra­re il topo e a con­ti­nua­re. Si vol­tò e gli occhi era­no diven­ta­ti quat­tro. Acce­le­rò per quan­to pote­va nel buio, non vole­va ripe­te­re la cadu­ta ma sen­ti­va il rumo­re del­le pic­co­le zam­pet­te sul pavi­men­to umido.

Un altro pia­no. Un rivo­lo di sudo­re geli­do gli per­cor­se la schie­na. Lo segui­va­no. Si vol­se ver­so la ram­pa che ave­va appe­na per­cor­so, deci­ne di cop­pie di pic­co­li occhiet­ti ros­si gli resti­tui­ro­no lo sguar­do. Da dove era­no usci­ti? Lo sto­ma­co gli si con­tras­se in cram­pi di panico.

Le sca­le ades­so era­no un po’ illu­mi­na­te e si arri­schiò a cor­re­re fino al pia­no di sot­to illu­mi­na­to. I rat­ti lo segui­va­no cor­ren­do fino al pia­no ter­ra. Finalmente.

Si lan­ciò sul­la por­ta. Girò la mani­glia e…niente. Bloc­ca­ta. Il rumo­re del­le zam­pet­te si quie­tò e Clau­dio si vol­tò. Le sca­le era­no pie­ne di rat­ti che annu­sa­va­no l’aria e len­ta­men­te si avvi­ci­na­va­no. Pre­se a bat­te­re sul­la por­ta coi pugni.

«Aiu­to! C’è qual­cu­no! Aiutooooo!»

I topi si fer­ma­ro­no ad un paio di metri e uno di essi fu spin­to in avan­ti da quel­li die­tro. Clau­dio osser­vò spal­le alla por­ta il rodi­to­re avvi­ci­nar­si fino a tro­var­se­lo a pochi cen­ti­me­tri dai piedi.

Sfer­rò un cal­cio ma il rat­to lo schi­vò con uno squit­tio. Clau­dio ten­tò di nuo­vo il cal­cio e que­sta vol­ta col­pì in pie­no il topo che si schian­tò iner­te sul muro. Gli altri par­ti­ro­no subi­to alla cari­ca ver­so di lui.

La por­ta si aprì. Lui roto­lò all’indietro ed essa si richiu­se subi­to. Si guar­dò intor­no. Era nell’ufficio dove ave­va fat­to il col­lo­quio o alme­no gli asso­mi­glia­va. C’era un for­te odo­re di mar­cio, pian­te mor­te nei vasi, una moquet­te zup­pa di acqua e car­tac­ce ovunque.

La con­fu­sio­ne si con­den­sò in pani­co quan­do rivi­de l’esaminatore. Pote­va rico­no­scer­lo a sten­to ma era lui. E non lo era: il suo vol­to era con­tor­to, schiac­cia­to e gira­to come quel­lo di una sogliola.

«Oh signor Fabret­ti!» lo salu­tò sba­van­do «Sono feli­ce che sia tor­na­to. Sfor­tu­na­ta­men­te quel posto non è più dispo­ni­bi­le, ades­so pos­sia­mo solo offrir­le un con­trat­to a tempo…indeterminato»

 

 

3 Comments

  1. piergiorgio
    Marzo 15, 2011
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    mol­to inquie­tan­te, non si rie­sce ad inter­rom­pe­re la let­tu­ra, il fina­le offre una infi­ni­ta serie di situa­zio­ni. Comun­que si intui­sce un tor­men­to sot­ti­le pro­ba­bil­men­te moti­va­to dal­la situa­zio­ne lavo­ra­ti­va del­l’au­to­re. Nel com­ples­so devo dare un giu­di­zio sicu­ra­men­te posi­ti­vo per il modo con cui è scrit­to e per il con­te­nu­to. Bravo!

  2. Nicoletta
    Aprile 10, 2011
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    La nor­ma­li­tà che si tra­sfor­ma in incu­bo.… allu­ci­nan­te. Sem­pli­ce, strin­ga­to, mi è piaciuto

  3. Giovanna
    Aprile 30, 2012
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    Man mano che vai avan­ti nel­la let­tu­ra vie­ni pre­so dal pani­co che aumen­ta sem­pre piu’. E’ mol­to avvincente

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