Vignet­ta

La mat­ti­na­ta era ini­zia­ta dav­ve­ro male: non tro­va­vo il tem­pe­ra­ma­ti­te. Nul­la di gra­ve se non fos­se che ero già in ritar­do di una set­ti­ma­na sul­la con­se­gna del­le tavo­le all’editore. Era­no due not­ti che non dor­mi­vo per fini­re il lavo­ro, poi dico­no che i vignet­ti­sti comi­ci si divertono.
Insom­ma la mat­ti­na era ini­zia­ta male poi, ovvia­men­te, andò peggio.

Uscii nel cor­ti­le del con­do­mi­nio tenen­do­mi rasen­te al muro per evi­ta­re l’acqua del­la signo­ra Can­tia­ni del ter­zo pia­no, ero ter­ro­riz­za­to per l’incolumità dei dise­gni. Quel­la mat­ti­na però la signo­ra Can­tia­ni non sta­va innaf­fian­do. Ven­ti­due anni di liti­ga­te alle riu­nio­ni con­do­mi­nia­li non ave­va­no mai impe­di­to alla Can­tia­ni di riem­pi­re d’acqua il cor­ti­le e chiun­que pas­sas­se. Non era mai suc­ces­so. Un po’ sor­pre­so e un po’ sol­le­va­to arri­vai al por­to­ne e il por­to­ne non c’era più. Al suo posto un muro, qual­che imbe­cil­le si dove­va esse­re diver­ti­to a tirar­lo su duran­te la not­te. E si era anche impe­gna­to, era imbian­ca­to e spor­ca­to per mime­tiz­zar­lo col resto del muro.
Insom­ma ero chiu­so den­tro. Ave­vo pro­mes­so all’editore la con­se­gna in mat­ti­na­ta, era l’ultima pos­si­bi­li­tà non pote­vo fare tar­di. Risa­lii di cor­sa le sca­le con la car­tel­la dei dise­gni sot­to brac­cio fino al pri­mo pia­no e suo­nai al por­tie­re. Il signor Wal­ter si sareb­be di sicu­ro incaz­za­to per quel­lo scher­zo ma for­se ave­va qual­che attrez­zo per sfon­da­re il muro.
Il cam­pa­nel­lo suo­nò a vuo­to, nes­su­no rispo­se. Suo­nai anco­ra. Bus­sai. Suo­nai e bus­sai con­tem­po­ra­nea­men­te. Sem­bra­va non esser­ci nessuno.
Comin­ciai a sen­tir­mi furio­so, tirai fuo­ri il cel­lu­la­re. Ci avreb­be­ro pen­sa­to i vigi­li del fuo­co. Sca­ri­co. Nel­la fret­ta di ter­mi­na­re le tavo­le dove­vo esser­mi scor­da­to di cari­car­lo, chis­sà da quan­to era spento.
Risa­lii fino al ter­zo pia­no, con l’intenzione di usa­re il tele­fo­no di casa. Tirai fuo­ri la chia­ve e pro­vai ad infi­lar­la nel­la ser­ra­tu­ra. Non entra­va. Mi sor­pre­se non esser­ne sor­pre­so, qua­si me lo aspet­ta­vo a quel punto.
Guar­dai meglio. La ser­ra­tu­ra non c’era, sem­bra­va esser­ci, ma non era una ser­ra­tu­ra: era dise­gna­ta! In effet­ti tut­ta la por­ta sem­bra­va dise­gna­ta. Con­trol­lai le por­te degli altri due appar­ta­men­ti del pia­no. Le por­te era­no dise­gna­te sul muro. I cam­pa­nel­li era­no veri, li sen­ti­vo suo­na­re dall’altra par­te del muro ma nes­su­no rispondeva.
Era una fol­lia. Abban­do­nai la bor­sa e cor­si su e giù nel palaz­zo con­trol­lan­do tut­ti i pia­ni. Anche la por­ta che dava sul tet­to non c’era più. Tor­nai in cor­ti­le. Respi­ran­do a mala­pe­na per la fati­ca del­la cor­sa comin­ciai a urla­re, qual­cu­no dove­va sen­tir­mi, qual­cu­no si sareb­be affac­cia­to pri­ma o poi per vede­re chi urlasse.
Urlai, non so per quan­to tem­po fino a quan­do il sole si alzò nel cor­ti­le illu­mi­nan­do le fine­stre dei pia­ni alti che non man­da­ro­no rifles­si. Come avreb­be­ro potu­to? Era­no dipin­te sul muro.
Il cie­lo, un reti­no azzur­ro comin­ciò a scom­pa­ri­re men­tre qual­co­sa di enor­me e bian­co lo attra­ver­sa­va. Quan­do fu il sole ad esse­re can­cel­la­to e tut­to diven­ne buio l’unica cosa alla qua­le riu­sci­vo a pen­sa­re era l’incazzatura dell’editore per le tavo­le non consegnate.

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