Era tutto in ordine quando sono uscita ieri sera alle undici. Letto rifatto, la luce della camera di nonna spenta, televisione accesa ad un volume basso. Cullo da sempre l’illusione che il canale dei documentari possa servire a mitigare gli umori felini di Molly.
Come al solito mi ero preparata la colazione quando il resto della città finiva di cenare. Caffelatte, una nastrina e spessi calzettoni anti mozzico, Molly non può salire sul tavolo della cucina mentre faccio colazione ed è una cosa che odia quindi miagola e mi morde i piedi.
Come al solito feci il giro di casa prima di uscire. Camera da letto, finestra chiusa, letto fatto, armadio chiuso per evitare che Molly si faccia le unghie su jeans e magliette.
Camera di nonna, finestra chiusa, libro sul letto aperto sempre sulla stessa pagina, odore di lacca e di vecchia.
Cucina, finestra chiusa, resti della colazione nel lavello, frigorifero chiuso.
Tutto nel solito squallido ordine. Rassicurante.
Uscii alle ventitre e in quaranta minuti l’autobus mi scaricò vicino al supermercato. Le altre cassiere odiano il turno di notte, io no. Non arriva quasi mai nessuno, al massimo qualche marito scazzato che si è ricordato di comprare il latte quando ormai era già a letto o qualche ragazzino in preda alla fame tossica che carica il carrello di patatine e snack. Ladri e taccheggiatori sono efficaciemente dissuasi da Mvaka, io non riesco a pronunciarlo e lo chiamo Mario, il gigante nero dell’agenzia di sicurezza. Non conosco nulla di Mario e lui nulla di me, a parte le cortesia minime, un ciao e un buonanotte quando finisce il turno alle sei di mattina non ci siamo mai scambiati altro. A me va bene così, mi piace il silenzio delle corsie vuote, il sommesso ronzare del reparto frigo e il fruscio delle pagine dei cataloghi sconti che sfoglio per ore.
Mi sarei fiondata volentieri a letto tutto il giorno alla fine del turno ma quella mattina però era il giorno della pensione. Nonna era sempre stata irrevocabile, niente banche, pensione all’ufficio postale e ritiro in contanti. Non era l’unica, ai vecchietti piace avere i soldi in mano, toccarli, annusarli. Per me era una tortura. In fila con anziani lenti, sempre incazzati che barcollavano uno alla volta verso lo sportello incuranti del fatto che col numeretto dell’eliminacode potrebbero stare comodamente seduti fino al loro turno.
Quando uscii dal supermercato diluviava, complici i chiusini ostruiti fiumi d’acqua marrone scorrevano per la strada. Il bidone dell’umido del kebbabbaro navigava verso chissà dove inseguito da un randagio zuppo ma deciso a scovare i resti odorosi custoditi da quel coperchio marrone.
L’ufficio postale era a poche centinaia di metri che avrei dovuto fare sotto la pioggia. Di solito c’è sempre qualche ombrello che i clienti dimenticano vicino l’ingresso. Di solito quando non piove. Le querule colleghe erano arrivate mentre mi cambiavo e anche loro erano state sorprese dalla pioggia quindi niente ombrello da prestare. Mi rassegnai. Almeno non avrei avuto freddo, alle sei e mezza di mattina già facevano trenta gradi, infradiciarsi in quel modo sarebbe potuto essere anche piacevole.
Mi avviai lungo il viale. Mi faceva sempre tristezza vedere i tronchi dei pini mozzati a un metro di altezza, quando ero bambina si poteva arrivare alla posta senza mai vedere il cielo tanto erano alti e rigogliosi. Ma una decina di anni fa il comune tagliò i fondi al già morente servizio giardini e preferirono tagliarli piuttosto che curarli. Sicurezza dissero. Così evitavo di alzare lo sguardo, niente mi dava la consapevolezza del tempo come il cielo sgombro di fronde, anche se plumbeo come oggi.
Arrivai alle poste appena in tempo per vedere gli impiegati aprire le porte. Una fila di pensionati barcollanti già era predisposta ad assaltare gli sportelli in preda alla mensile frenesia pensionistica. Mi infilai gli auricolari e presi il numeretto, sedici. Contai al volo i vecchietti, saranno stati una trentina quindi già sapevo che ci sarebbero state discussioni del tipo “io sono arrivato prima”, “lei è dopo di me”, “signorina non passi avanti” quindi alzai il volume e mi isolai dall’inevitabile chicchiericcio su malattie, lutti e delusioni familiari che inevitabilmente animano le code degli anziani.
Mi tolsi gli auricolari solo davanti allo sportello ignorando completamente la vecchia col vestito blu a fiori che tentò il sorpasso. Dando alla vecchia uno sguardo a metà tra il gelido omicida e il disinteresse totale porsi all’impiegato il numeretto e le deleghe della nonna. Sorrisi cordiale ai soliti consigli sull’accredito della pensione e sulla comodità del conto corrente e ritirai i soldi. Anche per questo mese l’affitto e il cibo per molly erano assicurati. Con la pensione minima non è che ci potessi fare molto altro.
Quando uscii dalla posta aveva smesso di piovere e la fila di cariatidi era aumentata. Disprezzai ancora la tenacia cieca che li spingeva ogni mese ad assediare gli uffici postali, mi ricordavano gli animali che vedevo nei documentari da bambina. Masse di erbivori che si affollavano intorno ad una pozza d’acqua sempre più asciutta. Mi vedevo, io che lavoravo e pagavo i contributi, come uno stremato guardiaparco che tenta di riempire uno stagno asciutto un bicchiere d’acqua alla volta senza ricevere in cambio altro che grugniti e spinte.
Fortuna che c’era Molly a casa che condivideva il mio stesso disinteresse per il resto dell’umanità, faceva comunque bene non sentirsi del tutto sola. Se non fosse che anche io facevo parte dell’umanità e che Molly manifestasse il suo disgusto con scostanza e un occasionale morso, altrimenti sarebbe stata davvero la compagna perfetta.
Arrivai al portone e per la prima volta nella giornata alzai lo sguardo, verso il terzo piano. Molly era appollaiata su un vaso e mi fissava dall’alto. Quando i nostri sguardi si incrociarono la vidi scendere dal vaso, si sarebbe messa sul bracciolo del divano pronta a soffiarmi addosso appena aperta la porta. L’ascensore rotto mi tolse le ultime forze della nottata e infilai le chiavi nella serratura ansimando come uno degli anziani che tanto odiavo.
Mi vedevo già lì, in fila vecchia tra i vecchi.
Anche se a pensarci già era così. Nonna e la sua pensione mi pagavano l’affitto ma in cambio mi stavano chiedendo un anticipo di anzianità.
Aprii la porta. “Ciao Moll…”
Molly non era sul divano. Strano. La chiamaii. Non che rispondesse mai ai richiami ma ci speravo sempre. Posai la borsa e misi ditrattamente la pensione nel cassetto della cucina.
Passai davanti la camera della nonna. Tutto normale. Luce spenta e televisione accesa. Molly era sul mio letto che giocava e si rotolova con qualcosa in bocca. Sperai non fosse un geco, l’ultima volta ho trovato zampette di geco sparse ovunque e la testa nascosta nel mio cuscino. Mi avvicinai e lei si ritrasse soffiando con un salto. Al centro del letto c’era un dito. Grinzoso e pallido, con un grosso anello di bigiotteria.
Corsi in cucina. Il frigorifero era socchiuso. All’interno le buste di plastica erano strappate.
Molly aveva imparato ad aprire il frigo.
Poteva essere un problema.
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