«Vedi quanto corrono?»
«Sì, lo vedo.» risposi accendendomi una sigaretta mentre i fari disegnavano strisce luminose nei miei occhi.
Mi prese la mano «Andiamo.»
«Sei sicura? Lo sai che non funzionerà.»
Lacrime di mascara le rigavano le guance illuminate dalle auto che sfrecciavano. L’avevo sempre giudicata troppo emotiva ma negli ultimi giorni mi era quasi insopportabile.
«Non so che altro fare per convincerti a restare.» cominciò a trascinarmi e mano nella mano cominciammo ad attraversare l’autostrada.
Le auto ci sfiorarono senza rallentare, i guidatori istintivamente deviavano appena la traiettoria inconsapevoli della nostra presenza. Quel minimo sufficiente a non investirci. Non che nel mio caso avrebbe fatto qualche differenza.
Qualcuno si distrusse lo specchietto sullo zaino di lei e un camion mi spense la sigaretta con lo spostamento d’aria. Arrivammo comunque incolumi allo spartitraffico. La cosa mi stava venendo a noia.
«Ancora.» implorò
«Io sono stanco di questa cosa, è tutta la notte che provi ad ucciderti.» mi accesi un’altra sigaretta e lasciai che mi tirasse di nuovo sulla strada. Ci fermammo sulla corsia centrale. Vuota. Un centinaio di metri prima di noi le auto si spostavano sulle corsie laterali e un centinaio di metri dopo tornavano sulla centrale.
Riluttante ricambiai il suo abbraccio «Non sono io che decido.» Mentivo. Non la volevo più, questo è sicuro, ma avrei ancora preferito che non si facesse del male per me.
«Non voglio tu vada via.» non si rassegnava «Non posso vivere senza di te.» Aveva anche cominciato a parlare come i personaggi dei romanzi rosa che leggeva.
Sentivo il suo corpo premere contro il mio, i suoi seni, le sue mani scendere lungo i miei fianchi. Sapeva di sicuro come attirare la mia attenzione, l’aveva sempre saputo. L’allontanai da me prima che si accorgesse della reazione del mio corpo.
«Non mi faranno restare» non volevo restare «non dopo quello che abbiamo fatto.»
Mi aveva creduto quando le avevo detto che il nostro rapporto violava un bel po’ di regole e comandamenti. Uno stratagemma vecchio di secoli ma che funzionava ancora. Nessuna regola, nessun comandamento. Mi ero solo stancato di lei.
Il cielo ad oriente cominciava ad impallidire e il suo corpo a malapena coperto da una vestaglia trasparente continuava a chiamarmi. Come quella notte del suo diciassettesimo compleanno quando smise di tagliarsi, quando le offrii me per placare il suo bisogno di dolore. Non che non la desiderassi già ma l’intimità con i protetti era in genere considerata una tecnica poco ortodossa.
Avevo sperato che sostituire il sesso al dolore sarebbe stato sufficiente ma forse non era valsa la pena di trasformare una ragazzina depressa e incline alle lame in una appiccicosa ninfomane. Per un po’ la cosa funzionò anche. Solo che avevo trascurato, per l’ennesima volta, che i mortali tendono spesso ad identificare sesso e amore. Per quelli come me invece il sesso diventa facilmente abitudine, poi noia ed infine fastidio.
Si staccò da me e ricominciò a tirare. Attraversammo i campi, verso il sole. Verso la ferrovia.
L’angelo custode a volte è un lavoro di merda, per mia fortuna questo incarico sarebbe finito al sorgere del sole. Con la briciola di senso del dovere che mi rimaneva le dissi «Sei forte, sopravviverai e un giorno troverai un uomo migliore di me.» suonava un po’ patetico lo ammetto. Ma con le parole non sono bravo, anche per questo avevo usato il corpo.
Mi lasciò la mano e si mise in piedi tra i binari dell’alta velocità «Bugiardo!. Come potrebbe esistere un uomo come te? Migliore?»
Il sole sorse alle sue spalle tramutandola in una sagoma circondata dall’oro «Sono incinta.»
Sorrisi di noia. Non ci credevo e lei lo capì.
Mi voltò le spalle mentre allargavo le ali pronto a volare via. Il treno la colpì in una rossa nube di sangue scagliando via quello che rimaneva del suo corpo disarticolato.
Era tempo di un altro incarico. Speriamo che non mi assegnino ai servizi sociali nel girone dei suicidi, pensai.
Be First to Comment