Visio­ni sul­la riva del mare Tevere

Il cie­lo è nero…non è not­te, è solo buio
Il viag­gio a pie­di da Geno­va è sta­to lun­go, trop­po lun­go, più di 400 chi­lo­me­tri di palu­di, step­pa e poi anco­ra paludi.
Non era così una vol­ta, non ricor­do com’e­ra ma so che non era così. Sono sicu­ro. Quasi.

Final­men­te! L’ul­ti­ma duna…vedo il mare Tevere.
Un’al­tra imma­gi­ne fuga­ce, una vol­ta si vede­va la ter­ra dopo il mare. Il mare scor­re­va, che con­cet­to strano.
E c’e­ra­no dei “pon­ti”, del­le stra­de di pie­tra che attra­ver­sa­va­no il mare. Assur­do. E c’era una cit­tà da tut­te e due le par­ti del mare. La stes­sa città.
Ma come può una cit­tà cir­con­da­re il mare?

Sono stan­co di que­ste visio­ni. Alla Basi­li­ca sapran­no cosa fare. For­se. Il cane par­lan­te ave­va det­to che lì mi avreb­be­ro sicu­ra­men­te aiutato.

Un can­cel­lo di lamie­ra ros­so, alto alme­no sei metri, il filo spi­na­to chiu­de cir­con­da com­ple­ta­men­te la spiaggia.
Il car­tel­lo sul filo più alto dice “Atten­zio­ne: ten­sio­ni inaudite!”
Sor­ri­do. Il car­tel­lo è buf­fo, le ossa e i bran­del­li di car­ne sul filo spi­na­to no.
E’ qua­si not­te, l’ac­ces­so alla spiag­gia è aperto.

La spiag­gia, il mare è liscio come una lastra di vetro gri­gio scuro.
Nel­la visio­ne lo vedo muo­ver­si, scor­re­re come una cosa viva. E’ solo acqua putri­da e immo­bi­le, gli uni­ci movi­men­ti sono le car­cas­se gal­leg­gian­ti spin­te a riva dal­la brezza.

La sab­bia e’ umi­da di acqua mari­na e san­gue, deva­sta­ta come se un milio­ne di per­so­ne ci aves­se­ro cor­so sanguinando.
E pro­ba­bil­men­te è sta­to così, oggi era gior­no di mer­ca­to. E devi esse­re un cri­mi­na­le o un mer­can­te per anda­re in giro nei gior­ni di mercato.
Oppu­re devi esse­re affa­ma­to, o paz­zo. Io sono affa­ma­to e paz­zo, quin­di vado dove mi pare.

Sca­val­co un cada­ve­re di don­na semi­se­pol­to nel­la sab­bia arros­sa­ta e vedo un enor­me maia­le che arro­sti­sce in una buca, la fame sva­ni­sce. Trop­pa sof­fe­ren­za in quei linea­men­ti suini.
Dal­le fila di barac­che in lamie­ra sbu­ca un maia­li­no col cor­do­ne ombe­li­ca­le anco­ra attac­ca­to che arran­ca sul­la sab­bia fug­gen­do ver­so il mare immoto.
Lo inse­guo, non voglio man­giar­lo, ma vor­rei com­pa­gnia. I maia­li­ni sono per­fet­ti per la com­pa­gnia: san­no ascol­ta­re, al mas­si­mo com­men­ta­no con un gru­gni­to e quan­do hai fini­to di par­la­re puoi sem­pre far­li arro­sto. Un cuo­co paki­sta­no, lo capi­sco dal­la man­na­ia, sal­ta fuo­ri da una barac­ca e lo agguan­ta pri­ma di me.
Nien­te com­pa­gnia per me e cena per lui. E’ anda­ta male.
Con­ti­nuo a cam­mi­na­re men­tre il tra­mon­to si riflet­te sull’acqua scu­ra. Dal buio emer­ge la sago­ma gri­gia del­la for­tez­za. Enor­me, toz­zo cilin­dro di cemen­to e acciaio.
Castel San­tan­ge­lo, la for­tez­za gri­gia, la Basi­li­ca dovreb­be esse­re vicina.

Chis­sà per­ché si chia­ma for­tez­za, dopo tut­to è solo un bloc­co soli­do di cemen­to arma­to. L’ombra del­la for­tez­za si allun­ga rapi­da­men­te e mi ritro­vo nell’oscurità e vedo, sono stan­co di que­ste visio­ni, vedo il cemen­to ma vedo anche un’al­tra for­tez­za. Più pic­co­la, mat­to­ni e mar­mo, sta­tue e can­no­ni, sbar­re e graffiti.
In cima una sta­tua di un uomo con le ali. Come tan­ti. Chis­sà se è lui Santangelo?

Ho la nau­sea, vede­re due mon­di mi da le ver­ti­gi­ni. Non è bel­lo esse­re pazzo.
Dopo la for­tez­za dovrei riu­sci­re a vede­re la Basi­li­ca. Se esi­ste. Così mi ha det­to il cane par­lan­te a Geno­va “Vai alla Basilica”.
Stra­no cane, non lo cono­sce­vo e non so per­ché mi ha det­to così ma tan­to sono paz­zo e non ho nien­te di meglio da fare che cer­ca­re cose che non conosco.

Se non tro­vas­si la basi­li­ca potrei cer­ca­re una bar­ca, ho sen­ti­to dire che c’è un cir­co in mez­zo al mare appe­na oltre l’orizzonte. Sarà un cir­co gal­leg­gian­te. Mi pare che si chia­mi Cir­co Mini­mo, o qual­co­sa del gene­re. Oppu­re i sag­gi alla Basi­li­ca mi cure­ran­no e tor­ne­rò a casa.

Ho qual­che dub­bio sul cane par­lan­te, mi sareb­be pia­ciu­to ave­re un con­si­glio dal maialino.

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