Gran­di spalle

Il sole bas­so tin­ge di ros­so le mace­rie e la trin­cea che taglia la Colom­bo all’al­tez­za del­la Fie­ra di Roma. Nel­la trin­cea ci sono tre sol­da­ti che sol­da­ti non sono.

Il pri­mo è un ragaz­zo, ven­t’an­ni for­se. L’oc­chio sini­stro incol­la­to sul miri­no di un fuci­le da cec­chi­no pas­sa da un tet­to all’al­tro in cer­ca del nemi­co. Filip­po. Filip­po ha pau­ra. Pau­ra di mori­re. Pau­ra, anche, di vive­re da scon­fit­to. Non la mostra la pau­ra, sem­bra sem­pre sicu­ro. Filip­po ha con­vin­to la mam­ma a scap­pa­re a sud, ver­so Napo­li. Filip­po ha tra­sci­na­to suo papà con lui. A resi­ste­re. Con­tro l’invasore.

Vici­no a lui c’è Clau­dio che pas­sa da un cana­le all’al­tro sul­la radio da cam­po. Clau­dio che cer­ca di con­tat­ta­re il Coman­do per dei rin­for­zi o, pre­fe­ri­reb­be, per riti­rar­si. Clau­dio che non sa che il Coman­do non esi­ste più, raso al suo­lo come tut­to il quar­tie­re del­la Cec­chi­gno­la. Clau­dio che non si è anco­ra accor­to che comun­que la radio è rotta.

Filip­po e Clau­dio si sono cono­sciu­ti due ore fa, in que­sta trin­cea ci sono arri­va­ti per caso. Spin­ti dai col­pi del­l’ar­ti­glie­ria nemica.

Il ter­zo uomo è Pao­lo, sedu­to nel­la trin­cea. Capel­li bian­chi e bar­ba fol­ta, tra­san­da­ta. Lui lì non ci vole­va veni­re. Lui sareb­be volu­to scap­pa­re a sud. Pen­sa­va che quel­la guer­ra non vales­se la vita. Non vole­va ucci­de­re, non vole­va esse­re ucci­so. Ma è l’i­stin­to che deci­de in cer­te situa­zio­ni. L’i­stin­to che ti dice, anzi ti ordi­na “Pro­teg­gi tuo figlio”. E Pao­lo ave­va fat­to l’u­ni­ca cosa che potes­se fare: ave­va segui­to Filip­po, suo figlio. Pao­lo, sedu­to nel­la trin­cea, guar­da le spal­le di suo figlio sen­za capa­ci­tar­si. Chie­den­do­si come quel­le spal­le così mas­sic­ce potes­se­ro esse­re entra­te, un gior­no, nel seg­gio­li­no del­la sua auto. 

L’ar­ti­glie­ria tace da alme­no un’ora.

Pao­lo ha un buco in pan­cia, san­gui­na nel silen­zio del cre­pu­sco­lo. In silenzio.

Clau­dio pal­li­do con­ti­nua a pro­va­re la radio. 

Filip­po spa­ra due col­pi rapi­di, poi sbuf­fa. Pao­lo, suo padre, gli ave­va chie­sto di non anda­re. Che a sud avreb­be­ro potu­to rico­min­cia­re, che se la sareb­be­ro cava­ta. Ma Filip­po vole­va resta­re. Resta­re e difen­de­re. Resistere.

Pao­lo guar­da le spal­le di suo figlio, i palaz­zi sven­tra­ti intor­no a loro e men­tre la sua vita sgoc­cio­la a ter­ra pen­sa che non è così che avreb­be volu­to vede­re suo figlio per l’ul­ti­ma vol­ta. Non è più pre­oc­cu­pa­to di mori­re. Ha pau­ra que­sto sì ma sa rico­no­sce­re l’i­ne­vi­ta­bi­le e, nono­stan­te il dolo­re, si sor­pren­de ad accet­tar­lo. Quel­lo che non rie­sce ad accet­ta­re sono le spal­le di Filip­po. Quan­do sono diven­ta­te così larghe?

Clau­dio sin­ghioz­za. Ha capi­to che la radio è rotta.

Le nuvo­le di fumo che si alza­no dal­la Cec­chi­gno­la tor­reg­gia­no nel cie­lo sem­pre più scu­ro, scre­zia­te dal ros­so e aran­cio del tra­mon­to e degli incendi.

Clau­dio si alza, esce dal­la trin­cea e si incam­mi­na tra i cra­te­ri del­la Cri­sto­fo­ro Colom­bo. Indi­stur­ba­to. Un pas­so stra­sci­ca­to dopo l’altro.

Filip­po non si accor­ge di nul­la. L’oc­chio incol­la­to al miri­no del fuci­le. Il fuci­le appog­gia­to alla spalla.

Pao­lo guar­da le spal­le di suo figlio Filip­po. Ricor­da la pri­ma vol­ta che le ha viste, così minu­te, sci­vo­la­re via dal ven­tre di sua moglie diret­ta­men­te nel­le mani del­l’o­ste­tri­ca. Così buf­fe men­tre soste­ne­va­no il pri­mo zai­net­to. Così velo­ci quan­do si abbas­sa­va­no per sfug­gi­re al sol­le­ti­co. Così gran­di ora. Gran­di spalle.

La vita di Pao­lo cola len­ta a ter­ra. Una goc­cia di san­gue dopo l’al­tra, ognu­na por­ta con sé il ricor­do di una pri­ma vol­ta, di Filippo.

In ordi­ne spar­so. Un pri­mo pas­so. Una pri­ma pop­pa­ta. Una pri­ma zuf­fa. Un pri­mo tuf­fo nel mare di Ostia. Una pri­ma ragaz­za. Una pri­ma paro­la. Una pri­ma vol­ta al cine­ma. Tan­te pri­me vol­te. A Pao­lo sem­bra che i suoi ricor­di di Filip­po sia­no com­po­sti solo da pri­me volte.

Qua­si tut­ti ricor­di feli­ci, comun­que tut­ti impor­tan­ti. Ades­so però sa che sta guar­dan­do quel­le spal­le, le spal­le di suo figlio, per l’ul­ti­ma vol­ta. E si chie­de cosa ne sia sta­to di tut­te le altre ulti­me vol­te. Com’e­ra l’ul­ti­mo pan­no­li­no? L’ul­ti­ma cor­sa in bici con le rotel­le? L’ul­ti­mo grem­biu­le e l’ul­ti­ma car­tel­la? com’e­ra l’ul­ti­ma vol­ta che ha accom­pa­gna­to Filip­po ad una festa con la mac­chi­na? Dov’è il ricor­do del­la loro ulti­ma par­ti­ta a cal­cio? Del­l’ul­ti­mo solletico?

Le ulti­me goc­ce di vita scor­ro­no via. 

Pao­lo guar­da per l’ul­ti­ma vol­ta le spal­le, gran­di, di suo figlio e l’u­ni­co dolo­re che sen­te è un buco nel­la sua memoria.

Pao­lo guar­da per l’ul­ti­ma vol­ta quel­le gran­di spal­le e l’u­ni­ca cosa che vor­reb­be è solo poter­si ricor­da­re l’ul­ti­ma vol­ta che ha tenu­to in brac­cio suo figlio.

Filip­po stac­ca l’oc­chio dal miri­no. Fis­sa il buio davan­ti a sé.

Non c’è rima­sto più nes­su­no. Sono stan­co. Voglio anda­re a casa papà.”

3 Comments

  1. olga
    Febbraio 19, 2016
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    Mi hai com­mos­so.… Gra­zie Fede!

  2. Dory
    Marzo 5, 2016
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    Mi ha tenu­to incol­la­ta allo scher­mo fino all’ul­ti­ma paro­la. Complimenti!

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