Era tutto in ordine quando sono uscita ieri sera alle undici. Letto rifatto, la luce della camera di nonna spenta,…
Categoria: Racconti
Il sole basso tinge di rosso le macerie e la trincea che taglia la Colombo all’altezza della Fiera di Roma. Nella…
Le pareti panna, il pavimento grigio a pannelli, le scrivanie in finto legno con vecchi monitor CRT, le finestre bloccate con…
Una forchetta. Perché no? Una forchetta sarebbe stata perfetta. La prima persona a suicidarsi a forchettate. La giusta fusione tra ridicolo e tragico. Quelli del talent show ne sarebbero stati entusiasti e il pubblico era sicuramente stanco di gente fulminata, di voli sull’asfalto, di lamette e pistole.
Dissi al barista di versarmi un’altra pinta e rilessi i moduli d’iscrizione. Una semplice liberatoria e avrei esaudito i miei due unici desideri: porre fine alla mia vita in maniera spettacolare e tirare un colpo basso alle iene con le quali condividevo una frazione significativa di geni. Sì perché avevo intenzione di donare il compenso del programma alla causa più inutile e ridicola che riuscissi a trovare. Ne avevo valutate molte e ormai la scelta era tra il finanziare un generatore orgonico anti scie chimiche alle isole Svalbard o il Centro di Rieducazione Vegana per Leoni in Kenya. Uno valeva l’altro ma quello che contava era che il milione di euro per il mio suicidio non arrivasse mai alla mia famiglia.
Era una vecchia tigre, troppo vecchia per ricordare qualcosa di diverso dalla carne senza sangue, dalla frusta del domatore e dalla paglia rancida della gabbia.
Aveva avuto una compagna un tempo, forse. Non ne era più sicuro. Però un tempo la gabbia vicina era occupata ma non riusciva proprio a ricordare chi o da cosa.
L’unica cosa che le era chiara era il dolore. Il dolore pulsante che aveva al posto della coda.
Totonk totonk. Totonk totonk. Il rumore è ipnotico, continuo. Un sottofondo ripetitivo che mi impedisce di concentrarmi. Odio lavorare sui treni,…
La mattinata era iniziata davvero male: non trovavo il temperamatite. Nulla di grave se non fosse che ero già in ritardo di una settimana sulla consegna delle tavole all’editore. Erano due notti che non dormivo per finire il lavoro, poi dicono che i vignettisti comici si divertono.
Insomma la mattina era iniziata male poi, ovviamente, andò peggio.
Dagli audio appunti di Alessandro Urbani, restauratore edilizio.
4 gennaio
Sto restaurando una serie di appartamenti sul litorale,
risalgono a prima del salvataggio dei Gloop.
Oggi ho trovato una matita. Ho scritto la parola “matita” su una mattonella prima di sbriciolarla.
6 gennaio
Oggi ho scritto un’altra parola.
Non mi sembra che la mia mente vada in pezzi.
La cosa che più gli dava la nausea era che al concerto dei Rotting Skulls ce l’aveva portata lui. “Dai hanno fatto anche da gruppo spalla dei Metallica. Spaccano.” le aveva detto. Fanculo. L’aveva trovata al bagno del locale durante una pausa che lo succhiava al batterista.
Il parco, buio, sembrava un buco nero scavato tra i palazzi. Verso il centro si vedevano gli intermittenti bagliori rossi di sigarette, o canne, che passavano di mano in mano e arrivavano le note smorzate di qualcuno che suonava. Aspettò che gli occhi si abituassero e individuò una panchina.
Scaldò un po’ di fumo sul palmo della mano con l’accendino e lo sbriciolò. Allungò la mano destra e si rese conto che nessuno gli avrebbe passato il tabacco da mischiare. Sara lo faceva sempre. Non c’era bisogno di chiedere o mettersi d’accordo. Era scontato, lui rollava e lei gli passava tutto. Tabacco, filtro e cartina. Una cosa piccola, ma erano le cose piccole, le tantissime cose piccole che Sara faceva che gli avevano riempito la vita.
Fosse stato il cantante almeno. Invece era il batterista quel coso basso e tutto storto. Girava voce che la vera mente del gruppo fosse lui ma non pensava che nei pochi minuti tra quando la folla li aveva separati e quando l’aveva trovata in ginocchio al bagno degli uomini potessero aver parlato molto.
Riuscì con una sola mano a strappare un biglietto dell’autobus e farne un filtro. Il caldo, il buio e le tre birre che si era scolato una dietro l’altra lo avevano reso goffo; quello che si ritrovò in mano era un piccolo salsicciotto di carta e tabacco. L’accese e aspirò la prima boccata. La musica che sentiva venire dal centro del parco era cambiata, adesso sembrava roba sudamericana. Si sdraiò sulla panchina con lo zaino come cuscino. Il fumo disegnava delle lame azzurrine quando incrociava la luce lunare che filtrava tra gli alberi.
Una micro storia per questo concorso (terminato) della Scuola Omero CONCORSO HAROLD E MAUDE – COPPIE FANTAREALI . L’amavo, anche se così…
«Vedi quanto corrono?» «Sì, lo vedo.» risposi accendendomi una sigaretta mentre i fari disegnavano strisce luminose nei miei occhi. Mi prese la…
Una microstoria di qualche tempo fa realizzata per un concorso. Ernesto ed Evaristo erano gemelli. Erano anche due coglioni. Non…
Mi tirai su il bavero del giaccone per ripararmi dall’umida alba di Casal Palocco, mentre osservavo dal giardino i due cadaveri raffreddarsi sul nostro divano. Il gas aveva funzionato regolarmente. Anche se non erano realmente loro, anche se non erano altro che copie, vedere i volti dei propri cari morti tutte le mattine è sempre una cosa che scuote dentro. Non mi ci abituerò mai.
Mia moglie e mio figlio tornarono dal garage con i tre sacchi per cadaveri col logo del comune. La legge era chiara «Ogni cittadino è personalmente responsabile del corretto smaltimento dei propri simulacri».
Feci partire l’impianto di ventilazione col telecomando e dopo un paio di minuti entrammo. L’impianto Ziklon era costato parecchio ma considerando l’alternativa era valso ogni euro speso. Non è piacevole eliminare le copie e doverlo fare di persona può essere traumatico. L’ingegner Moneta, il nostro vicino, non ha mai voluto un impianto Ziklon e dopo un paio d’anni di smaltimenti sua moglie non ha retto più. Grave esaurimento nervoso, è diventata praticamente catatonica.
«Papà il tuo non c’è» disse Marco dall’interno della casa. L’adolescenza gli stava cambiando la voce e gli stava facendo crescere una scura peluria sotto il naso, la sua copia ne era ancora priva.
«Cerca in camera da letto» risposi «anche sotto il letto». Un paio di volte l’avevo trovata lì.